Il quadro si relaziona con il genere delle marine, che permetteva ai pittori a partire dal 1600 (ma analogamente avviene oggi in cinematografia) di rappresentare da vicino la drammatica situazione di marinai presi dalla tempesta oppure di creare grandi scenari in cui navi viste da lontano si perdono fra onde sovraumane senza ostentare empatia per i destini umani. In molte opere ci sono le allusioni alla salvezza, o almeno alla speranza trascendentale. Talvolta i naufragi, navi e uomini, si riferiscono a situazioni sociali o politiche contemporanee, anche se tinte di racconti eroici o leggendari.
Paolo Profaizer gioca con molti aspetti di queste tradizioni marine: il vento Grecale muove il mare, la barca che entra nella scena da sinistra arriverà sicuramente a riva, la luce e il ritmo delle onde non preannunciano niente di minaccioso. La barca, piccola e affollata, non è protagonista, semmai lo sono le rocce in primo piano, testimoni che non si commuovono. I rifiuti vicino alle rocce marcano il presente. Senza drammi apparenti un mondo entra in un altro, la dura condizione di chi approda si confronta con un’altra realtà, caratterizzata dalla spiaggia vuota e dalla giostra di un vecchio luna park, segni di un’infanzia interminabile, spensierata quanto malinconica.